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I bei tempi andati... erano fatti di una vita durissima, allegra, disperata, sempre espressione della capacità (e certamente anche della più cruda necessità) di accontentarsi di poco. Certo, era una vita genuina e "romantica" (come tendiamo noi a vederla oggi con una certa nostalgia) ma sempre all'insegna de "col sudore della tua fronte".
Il nonno paterno prima ancora di sposarsi abitava a Logoreccio e, per guadagnarsi da vivere, partiva con la vanga in spalla per andare a bonificare le paludi attorno a Livorno. A quei tempi e nelle sue condizioni (siamo verso la fine dell'800) significava andarci a piedi. Insieme alla vanga, un fagotto con un cambio di biancheria e un pezzo di formaggio, scarpe eterne quanto eternamente consumate ai piedi. Altre volte andava a Genova, munito non di vanga bensì di accetta (ossia il "pennato"/"al podai" nella parlata locale), da dove con dei mezzi partiva per la Francia. Era una stagione che durava 4-5 mesi e che passava in mezzo alle foreste dedito al taglio della legna per farne poi carbone. Il nonno, come tanti della sua generazione, sapeva realizzarsi da solo gli attrezzi da lavoro, avvalendosi del fabbro unicamente per la realizzazione delle parti in ferro. Solo molto più tardi avrebbe usato le balestre dei camion degli americani per farne attrezzi! La miseria, assai comune ai tempi del nonno, allentò di un poco le sue grinfie con l'arrivo della nuova generazione, concedendo al figlio Enrico, il papà di Oliviero, l'opportunità di trovare lavoro negli anni '30 e assieme al nonno Carlo, come mezzadro presso il parroco di Vedriano.


Oliviero insieme agli amici davanti alla falegnameria di Vedriano.
È sempre stata valida la regola che chi vive in campagna, patisce meno la fame. Anche la persona più povera. Di pane se ne faceva poco in casa Rabotti perché al borgo di Vedriano c'era un forno comune (ottimizzando così anche il consumo di legna: nonostante la zona sia ricca di boschi, ogni risorsa andava sfruttata e gli stessi boschi non era nemmeno di comune proprietà a tutti).
Sul podere della Chiesa gestito da famiglia Rabotti vivevano anche cinque mucche. D'estate il latte veniva conferito al caseificio (e il guadagno spartito) mentre d'inverno, quanto la quantità calava, la mamma di Oliviero era solita fare il formaggio in casa. C'era abbondanza di galline e non mancava quindi la pasta all'uovo (ma i cappelletti si facevano solo di tanto in tanto). Coniglio o anatra muta arrosto di domenica. Oliviero contribuiva andando a pescare nel Tassobbio e a volte i pesci venivano pure venduti. C'era abbondanza di cavedani, barbi, vaironi, gamberi di fiume (ovviamente quelli autoctoni dal carapace di colore brunastro) e anche bisce ma in tempi recenti c'è stato un tragico crollo: prima condizioni meteorologiche avverse hanno quasi prosciugato il letto del fiume e poi il colpo di grazia dato da una porcilaia che non si è fatta scrupoli di riversarci troppo liquame. Oliviero racconta che in passato il fiume era talmente prodigo, che spesso pescava addirittura con le sole mani.
Tornando in tempi recentissimi (2019) per far vedere ai nipoti come faceva, purtroppo non c'era più nulla dell'abbondanza di un tempo e l'ultimo avvistamento di un Martin Pescatore risale al 2010.
Come in molte altre zone d'Italia, le aree coltivate sono andate man mano riducendosi, lasciando spazi sempre più ampi ai boschi. Anche la fauna boschiva è cambiata. Un tempo c'erano tassi, volpi e uccelli migratori che hanno lasciato il posto a lupi, cinghiali, istrici, caprioli, daini e cervi.
L'acquedotto venne realizzato nel 1960. Fino a quel momento diversi pozzi rifornivano d'acqua la piccola comunità. Seppure Vedriano e le frazioni limitrofe fossero abitate da pochi abitati, prevalentemente contadini, in paese c'erano un caseificio, un ristorante, un negozio di alimentari che si chiamava "Aquila", una tabaccheria, l'asilo per i bimbi, un fabbro, un sarto e il forno. Tutto quello che serviva per garantire una sopravvivenza povera ma dignitosa. Tutte queste attività vennero però gradualmente cessate quando Vedriano iniziò ad essere sempre più disabitata con la gente che si trasferiva a valle, in cerca di condizioni di vita più favorevoli. Un lavoro meno faticoso e meglio retribuito, abitazioni più confortevoli, una vita sociale più diversificata e più tutelata: via dalla bellezza della natura ma anche dall'isolamento. Nello stesso periodo vennero asfaltate le strade, contribuendo forse a velocizzare il "dissanguamento". Col passare del tempo e potendo in molti preservare le vecchie case di famiglia, l'intera zona è per fortuna diventata una piacevole e ricercata meta turistica.