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La bellezza vera lascia increduli. Prima di creare la Nuova Zelanda, il buon Dio ne forgiò un modello in miniatura realizzandolo proprio qui dove anche Leonardo da Vinci si sarebbe volentieri fermato, a trarre ispirazione per dipingere colline e montagne in sfumature di verde e blu senza soluzione di continuità. Per capire e credere bisogna venire a Vedriano, nell'orto di Oliviero, a lasciarsi riempire gli occhi, la mente e l'anima prima dal panorama circostante e per abbassare poi gli occhi e venire riempiti di nuovo dalla bellezza dell'amore con cui Oliviero cura il suo terreno.
Trasferendosi da Pietranera a Vedriano, Enrico Rabotti adibì una parte del terreno della casa nuova ad orto. In effetti però, non ci lavorava volentieri: chi ha un orto, deve avere innanzitutto passione e sa bene che è un lavoro faticoso. Enrico non aveva passione ed era troppo cagionevole di salute, oltre che lavorare già come mezzadro sui campi della Curia dall'alba al tramonto. In buona sostanza, quando arrivava l'estate, l'orto non era più in grado di produrre perché Enrico non aveva manco acqua a sufficienza: a luglio pressocchè ogni pianta era stata bruciata dall'arsura. Nel 1982 Oliviero chiese infine al padre di potersene occupare e ne ingrandì gradualmente la superficie, mettendo a frutto tutto quello che aveva imparato non tanto osservando papà Enrico, bensì nonno Carlo. Lui sì che di passione ne aveva avuto! Oliviero aveva quindi imparato presto a lavorare il terreno, a seminare e a far crescere tutto in rigogliosa abbondanza. Da quando è andato in pensione, l'orto è ora non solo una utile passione ma anche una sana occupazione, mentale e fisica, che sfama tre famiglie.

Ovviamente Oliviero pratica la rotazione delle coltivazioni e non c'è quasi nulla di commestibile che non cresca nelle varie poste del terreno che si estende su di una naturale pendenza, inframezzato da alberi da frutto e recintato nel 2019 per evitare che i cervi continuassero a rubacchiargli il frutto delle sue fatiche. Siamo in una zona di rispetto venatorio ed è normale (quanto magico per gente che viene dalla città) vedere cervi e caprioli avvicinarsi agli insediamenti abitati.



La terra è argillosa, liberata da sassi e ciottoli e Oliviero inizia l'anno ripulendo e rinvangando il terreno dagli avanzi dell'inverno, spesso nell'allegra compagnia dei gatti di una colonia felina, accudita da lui e da una vicina di casa. Le semine avvengono a scalare, ovviamente prima dell'arrivo delle formiche e tremando per ogni possibile gelata tardiva. Autodidatta e al contempo allievo di padre e nonno, Oliviero sa bene che la natura, per averla come alleata, bisogna saperla assecondare e seguire nel suo percorso senza avere aspettative "irraggiungibili". Parenti e amici di passaggio vengono congedati solo con una abbondante scorta di rapanelli (tondi rossi e lunghi bianchi), perennemente in esubero. L'ultimo compito del giorno consiste nel raccogliere e lavare l'insalata perché "nessuno la lava come dico io".
Per la lotta ai parassiti usa il macerato d'ortica, il decotto di aglio e l'insostituibile poltiglia bordolese quando deve trattare la vite. Anche la concimazione avviene in modo tradizionale: diversi mucchi di compost (in diversi stadi di maturazione e terreno prediletto per placide quanto avide zucche) e stallatico granulare aiutano le piante a crescere sane e rigogliose.
L'acqua piovana viene raccolta con qualsiasi contenitore adatto e ce ne sono diversi dislocati in più punti dell'orto mentre dal tetto della casa la pioggia viene convogliata in un pozzo posto in posizione centrale. Scavare il pozzo fu un'impresa a sé, anticipata dall'intervento di un rabdomante, durata quattro giorni, bagnata dalle lacrime di sollievo miste a gratitudine di papà Enrico quando l'acqua finalmente zampillò fortissima (8 metri!!!) da sotto a un gigantesco masso (ci si disperava ormai di trovarla) e perché Oliviero aveva racimolato i suoi risparmi per farlo realizzare: un profondo quanto costoso buco diventa un utile investimento solo se l'acqua infine la trovi.
Non aveva piovuto da quattro mesi e avevano chiamato un amico d'infanzia di papà Enrico, un rabdomante trasferitosi da tempo a Correggio, per individuare, con un semplice pezzo di legno in mano, il posto giusto in cui scavare. Furono "individuati" due posti e i Rabotti scelsero quello con la falda più alta, ossia più vicina alla superficie. L'orto sarebbe così migrato dalla sua vecchia posizione a quella attuale, attorno al pozzo scavato da un grande escavatore una settimana di novembre, con l'aiuto di due trattori che portavano via la terra di scavo. Quando l'acqua sgorgò violenta da sotto al masso era già buio. L'escavatorista ripulì al buio il terreno per come possibile ma quando tornò il mattino dopo, il terreno circostante era ricaduto sulla fonte nata la sera precedente... Senza poter approntare meglio il terreno, venne scavato di nuovo per posizionare 10 spezzoni di tubo in cemento, lunghi ognuno 1 metro e col diametro di 120 cm, fino a risalire e raggiungere l'attuale bocca del pozzo. A metà profondità si innestano nel pozzo le canaline di scolo che dal tetto convogliano il surplus di acqua piovana.
Nell'orto-giardino vivono ovviamente anche alberi da frutto: pere, mele, nespole, cotogne, pero corvino. Nell'allegro scambio di conserve mangerecce, un giorno mi venne donato un vasetto di marmellata di cagnetti. Cosa sono i cagnetti? Sono i frutti di una varietà selvatica di prugne che, a seconda della località, prende il nome di "amolo", "marosticano" oppure "mirabolano". I fiori possono bianchi o rosati (vedi foto in apertura di questa pagina) e i frutti, ottimi anche da freschi, sono deliziosamente aciduli se non addirittura bruschi.
Nell'orto di Oliviero non possono mancare i fiori di Mara: lavande, petunie, erba di san giovanni, peonie, rose e clematis - tutti in un mix di colori e profumi vibranti!





Alcuni alberi furono vittima di particolari vermi. Oliviero me li lasciò fotografare e rassomigliavano molto al temutissimo tarlo asiatico. Dopo essermi rivolta al Consorzio Fitosanitario di Reggio Emilia, fu possibile stabilire che per fortuna si trattava di un insetto chiamato Capnodis Tenebrionis e passai ad Oliviero le indicazioni su come prevenire una nuova moria di alberi nonché una foto fornitami proprio dal Consorzio per individuare più facilmente l'insetto adulto.

