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Questa è la storia della famiglia Rabotti-Montipò, originaria di Vedriano e Pietranera, raccontata da una amica che qui funge da voce narrante di Oliviero Rabotti e dei suoi ricordi.
Nelle pause in cui riuscivamo a fermarci entrambi (lui a lavorare nell'orto, io a riordinare una miriade di scatoloni da trasloco perché ero venuta a vivere per un po' di tempo nella loro zona) a volte scambiavamo qualche chiacchiera. Nei racconti di Oliviero si aprivano "finestre con vista" sulla vita della sua famiglia ed erano spesso presenti il nonno paterno, originario di Logoreccio (Carlo Rabotti * 1876-1963) e il suo amato papà (Enrico Rabotti * 1920-1990). Un filo conduttore mai interrotto, nemmeno dalla loro fine naturale. Anime sagge, caparbie e gentili che hanno dato forma al piccolo Oliviero lasciando a lui il testimone di un mondo scomparso già prima della sua nascita - quanto di valori che, per fortuna, non si sono altrettanto estinti. Qui Oliviero è in braccio al nonno Carlo.


Le delicate cartoline che in queste pagine si aggiungono all'album di fotografie, sono quelle che il nonno mandava alla fidanzata (Candida Cocconi, anche lei originaria di Logoreccio e che aveva trovato lavoro a Milano) facendole scrivere da chi lo sapeva fare mentre lui stesso era a Genova, in attesa di partire per la Francia dove avrebbe trovato lavoro come tagliatore stagionale di quella legna che sarebbe poi servita per farne del carbone. Quando Candida rimase incinta (dalle eccessive attenzioni del suo datore di lavoro...), i due misero finalmente su casa.


Col marito ebbe altri otto figli, di cui però cinque morirono nel giro di pochi giorni di difterite nel periodo 1925-1930. Vivevano in una casa isolata a ridosso di Pietranera e del Tassobbio e il medico impiegò tre giorni per arrivarci, ovviamente a piedi e quando ormai non c'era più nulla da fare. Il medico, nel vedere Enrico ancora vivo e che a quel tempo aveva cinque anni o poco più, gli disse di scappare nel bosco nella speranza che non fosse e non venisse contagiato. Era cosa comune per quei tempi che, tra l'altro, dormissero tutti insieme in una unica stanza. Così fu: il piccolo scappò nel bosco e la sorella "milanese", scampata alla moria perché viveva dai nonni, gli portò da mangiare nella foresta per una settimana e il bimbo si salvò. Enrico Rabotti avrà pochissimi ricordi della madre, morta a sua volta per malattia pochi anni dopo quando lui era ancora giovanissimo. Infine: dei tre figli maschi rimasti, uno non tornò dalla seconda guerra mondiale e l'altro morì per sfinimento poco dopo esserne rientrato.

Enrico Rabotti (quindi figlio di nonno Carlo e futuro papà di Oliviero), durante la seconda guerra mondiale era stato in Libia come mitragliere ma ne era rientrato da invalido. Si sposò con Enrica Carlini (1926 - 2002) da cui ebbe due figli: Oliviero, che in queste pagine racconta la storia di famiglia, e Valeria. Era molto cagionevole di salute, già in gravi condizioni verso i 40 anni con ripetuti attacchi di febbre altissima, emorragie interne, calcoli, inspiegabili a qualsiasi medico interpellato. Era così purtroppo impossibilitato a lavorare ogni giorno a tempo pieno e a dover confidare sulle forze di sua moglie Enrica. Negli anni '60 riuscì ad arrotondare la pensione senza sfiancarsi più sui campi ma lavorando in stalle vicine che erano state convertite in porcilaie. Nonostante fosse stato "solo" un mezzadro, riuscì però quasi fino alla fine dei suoi giorni ad esprimere una rara bravura manuale in lavori di ogni genere, soprattutto di falegnameria. Oliviero ancora oggi si stupisce e si commuove di quella incredibile manualità e accarezza un aratro e anche un carro in miniatura realizzati proprio dal padre. Stava per comprargli addirittura un tornio quando papà Enrico purtroppo venne a mancare per un linfoma allo stadio terminale.


Enrica Carlini era a sua volta figlia di Fortunato Carlini (1892 - 1962) e Angela Corradi (1900 - 1976). Oliviero ancora oggi prova una gratitudine reverenziale nei suoi confronti: nonostante avesse un marito cagionevole, che fosse una fumatrice incallita, avesse subito degli infarti e fosse stata operata di tumore a 49 anni, riuscì a sfamare e a mandare avanti la famiglia e raggiungere una veneranda età. Da giovane era stata una sarta, con una gavetta di 7-8 anni alle spalle, con la madre che aveva pagato tutti quegli anni per farle fare l'apprendistato a Borzano (andando via di lunedì e tornando di sabato) e che le aveva pure acquistato una macchina da cucire. Sposando Enrico Rabotti dovette però rinunciare alla professione, per aiutare il marito nei campi e ad accudire il bestiame. Il saper usare ago e filo sarebbe però stato utile per cucire i vestiti a tutta la famiglia.


Sono state generazioni operose ed è una attitudine che è stata tramandata alle nuove generazioni. Hanno sempre lavorato tutti: nonni, genitori, figli e nipoti. I pronipoti faranno altrettanto visto che hanno il buon esempio ma sicuramente hanno già adesso una vita meno faticosa. Oliviero racconta che si era sposato nel 1971 e che le prime vacanze le fece nel 1984. Se le altre famiglie andavano in vacanza al mare, le figlie di Mara e Oliviero furono le uniche ad andare d'estate pure loro al mare ma in colonia e dopo in Trentino con la parrocchia mentre i genitori continuavano a lavorare (Mara, tra l'altro, ad aiutare nei campi a raccogliere pomodori o cipolle).
A denti stretti e mettendo da parte ogni singolo centesimo, agli "sposini" Rabotti-Montipò fu possibile permettersi una vita dignitosa, l'educazione delle figlie, una casa, una macchina... e Oliviero imparò pure a cucinare senza mai dimenticare i tempi e l'ossessione e la fatica della madre che si chiedeva cosa avrebbe dato da mangiare alla famiglia (ogni giorno, non l'indomani o la settimana dopo = sopravvivere nel presente).

Oliviero ed Enrico Rabotti il giorno della Prima Comunione.

L'orto, la bicicletta o il bosco: questi sono gli "elementi" più congeniali ad Oliviero!