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Di ritorno dalla guerra, Enrico Rabotti, che si era ormai anche sposato, iniziò a percepire una pensione di guerra e gli vennero rimborsati un po' di arretrati. Vivendo ancora al "podere delle anime" iniziò ad accantonare i risparmi e, con l'aiuto della madre, anche i sassi necessari per sistemare una casa di proprietà giù al Tassobbio. Volevano sistemarla per tornare ad avere una casa propria ma era veramente troppo isolata; dopo un po' desistettero per comprare infine nel 1956 il terreno attuale, già di proprietà non Angela e che a suo tempo viveva nella casa che ora è al civico nr. 70. Quella casa esiste ancora ma non appartiene più alla famiglia e non ha nemmeno più l'aspetto che aveva un tempo: era una "casa torre" che però fu colpita da un terremoto negli anni 1920-1930 e i proprietari che l'acquistarono decenni dopo, non la riportarono all'altezza originale. E' rimasto intatto il pianterreno con metri spessi 120 cm. Su questo terreno che s'arrampicava su per la collina e che si trovava in cima al "podere delle anime", ci costruirono poco per volta una casetta propria, i serramenti realizzati nella vicina falegnameria usando il legno proveniente da un appezzamento di bosco di proprietà dei Rabotti e per trasferirvisi definitivamente nel novembre del 1961, a San Martino come tradizione vuole. La fortuna arrise loro per poco meno di una decina d'anni. Una mattina di gennaio del 1969 la canna fumaria in eternit della stufa s'incrinò all'altezza del solaio, proprio lì dove venivano tenuti durante l'inverno gli attrezzi agricoli e le cassette in legno per la raccolta della frutta... il tetto, fatto col legno di pino proveniente dal bosco giù al fiume, prese fuoco, insieme al bucato e al maiale che era stato messo lì a salare. Enrica andò a chiamare Oliviero che lavorava nella falegnameria e quando ne uscì vide il fumo della casa in fiamme. I pompieri fecero in tempo ad arrivare verso l'una e a spegnere il rogo prima che le fiamme divorassero tutto l'edificio. L'incendio fece ammalare papà Enrico e a Oliviero non rimase altro da fare che dividersi tra la falegnameria, il cantiere per aiutare i muratori nella ricostruzione (tirando i mattoni al piano di sopra con il forcone!) e accudire i maiali come sostituto del padre che a quel tempo aveva trovato lavoro in delle porcilaie. Fu talmente dura che Oliviero pregò che venisse a piovere e così fu: almeno il cantiere per un po' smise di essere aperto.
La casa che fino a quel momento consisteva di due stanze, fu comunque inagibile e il vicino mise loro gentilmente a disposizione una parte della propria essendosi trasferito nel frattempo altrove. Arrivarono i muratori e nella primavera dello stesso anno, la casa, oltre ad avere un nuovo tetto, venne rinforzata nelle fondamento con una soletta in cemento e acciaio ed elevata di un piano. Inizialmente il progetto di papà Enrico prevedeva un ampliamento in orizzontale che però era stato accantonato per una questione di costi, visto che sarebbero stati necessari degli scavi per gettare nuove fondamenta per ampliare quelle esistenti.

La casa nuova rappresentò una rivincita, duramente conquistata, sulle vite di stenti condotte dalle generazioni precedenti. Non c'era però tempo (e nemmeno i soldi) per potersi lasciare andare a sottigliezze e coltivare qualcosa che andasse oltre al "pratico". Per questo motivo la casa non fu mai fotografata e non esistono testimonianze dell'edificio prima dell'incendio. Era stato un sacrificio costruirla, vederla bruciare e poi di nuovo ricostruirla ingrandendola. Però erano salve la vita e la famiglia! Qui, in una delle poche foto, se ne vede appena uno spigolo non intonacato e, da sinistra a destra: Enrica con nonna Candida e la figlia Valeria (1960), sorellina di Oliviero.
Quando Oliviero andò in pensione completò il lavoro iniziato decenni prima, facendola diventare la casa che è adesso, sostituendo anche la scala esterna in legno con quella attuale in muratura e dividendosi le spese con la sorella.

Verso il 2007 la casa nuova fu completata nei suoi ultimi dettagli, affacciandosi sull'orto e sui boschi circostanti, offrendo una vista mozzafiato su Cimone, Cusna, Pietra di Bismantova, Ventasso e Cavalbianco.

Così immersa nella natura, Oliviero volle un Martin Pescatore dipinto su uno dei muri della casa, a salutare chi le si avvicina.
Quando da ragazzino scendeva al Tassobbio era proprio in compagnia di questi bellissimi uccellini che svolazzavano tra i rovi. Raggiunta l'età della pensione e non andando più nemmeno a pescare, Oliviero pensò bene di di farne dipingere uno sul muro di casa.
Inizialmente interpellò una ragazza straniera che però avrebbe voluto realizzare un dipinto artistico/surreale. Oliviero però cercava qualcuno capace di ritrarre il cangiante uccellino nella sua originale bellezza. Trovò infine in Martina K. la pittrice giusta. Oliviero per sdebitarsi le preparava il pranzo facendo felicissima la donna con i prodotti dell'orto, visto che questa era vegetariana. Il suo desidero di vedere l'animaletto ritratto nello stile il più realistico possibile fu esaudito: la natura è già bella di suo, difficilissima ritrarla nella sua naturalezza e non c'era affatto bisogno di stilizzarla!

Chi vive in città non sempre si chiede come funzionano gli impianti fognarii in campagna o in montagna. Non essendo sempre possibile realizzarli, vengono montate fosse settiche a valle degli edifici per evitare che gli scarichi si riversino nel terreno o nei corsi d'acqua in cui confluiscono le così acque ripulite. La casa nuova fu corredata di ben tre fosse settiche vista l'impossibilità di allacciarla al depuratore di Pietranera.

Mara sull'altalena in giardino